Lavoro creativo di gruppo

A cura di Daniele Brambilla

Secondo una definizione di Piepoli il gruppo: “è un naturale amplificatore e acceleratore del processo creativo. Infatti il gruppo, in particolare quello aziendale, è un cervello collettivo, con potenzialità molto più alte del cervello di un singolo individuo”[1].
Ma come è possibile ottenere un lavoro più creativo da un gruppo di persone: superare la difficoltà di comunicazione, migliorare le relazioni, smussare la possibili rivalità e avanzare sulle inibizioni sociali tra i partecipanti, tanto da rendere il gruppo abbastanza coeso da poter essere definito come un cervello collettivo? Probabilmente la definizione che abbiamo citato si riferisce al risultato di un lavoro che viene definito di “gruppo”. Per tale motivo il lavoro creativo di gruppo va condotto successivamente o almeno parallelamente alla formazione del gruppo stesso; si evidenziano quindi già due obbiettivi da raggiungere nel lavoro di formazione e di conduzione di un gruppo creativo:
– il primo è quello della formazione finalizzata alla trasformazione di un amalgama di individui scelti in una superentità gruppale;
– il secondo è l’acquisizione sulle normali modalità di pensiero di nuove trame cognitivo-creative. Cioè un lavoro piuttosto costoso e non sempre semplice da ottenersi; per il quale ci si può chiedere quali vantaggi effettivi si prospettino per l’azienda che decide di attuarne i metodi.

Sempre dalla definizione sopracitata di Piepoli si ricava un elemento che ci indirizza verso una possibile risposta: il gruppo come “amplificatore e acceleratore del processo creativo”[2], il vantaggio risederebbe perciò nella caratteristiche di rapidità e ricchezza della risposta data alla domanda di innovazione: infatti, secondo Amadori e Piepoli, se il processo creativo attraversa delle fasi come quelle di Wallas[3], “il percorso euristico nel singolo è piuttosto lento […] e rigidamente sequenziale”, se confrontato a quello più vivace del gruppo, nel quale “ognuno dei soggetti entra in risonanza con tutti gli altri”[4].
Cavallin osserva che allo stato degli studi attuali “non è possibile affermare che la creatività individuale sia più produttiva di quella collettiva o viceversa”[5], e nota come gli studiosi abbiano elaborato una casistica nella quale alternativamente le diverse creatività, del singolo e del gruppo, meglio si adattano a diverse situazioni. Ad esempio, secondo lo schema che vuol essere poco vincolante di Cavallin, la produttività del singolo dovrebbe trovare un impiego preferenziale nell’individuazione di “situazioni problemiche o opportunità da cogliere, nuove piste o strade da battere […] nella fase di selezione delle idee, nella loro vendita a potenziali acquirenti e soprattutto per trovare le strategie per far applicare le idee all’interno di un’organizzazione”[6]; anche creatività di un gruppo addestrato si adatterebbe alle fasi di applicazione e selezione, ma, soprattutto risulta più ricco “quando si tratta di analizzare un problema in modo creativo, trovandone i vari aspetti possibili, […] nella ricerca di soluzioni creative, […] se si tratta di trovare linee di ricerca”[7]. Da Cavallin possiamo quindi dedurre che l’impiego del gruppo rispetto al singolo è solo un’alternativa non vincolante, anche se consigliata in alcune particolari situazioni.
L’opinione di De Bono a questo riguardo è molto diversa, da essa si potrebbe dedurre che l’azienda non può trarre alcun vantaggio consistente dal lavoro di équipe creative: “i gruppi non sono assolutamente necessari per il pensiero creativo consapevole, […] gli individui producono molte più idee, in una gamma molto più estesa, lavorando ognuno per conto proprio che lavorando in gruppo. In gruppo [..] può capitare di dover sprecare tempo [..], molto spesso il gruppo procede lungo una direzione comune, mentre i singoli individui possono seguire il filo del loro pensiero.”[8]; in quest’ultima affermazione De Bono è preoccupato del fatto che nel gruppo a causa di un’esigenza di coordinazione degli scopi e della direzione da seguire è più difficoltoso attuare delle strategie di “pensiero laterale”, che rappresenta il centro delle sue tecniche di creatività. Più in là comunque smussa i toni affermando che il gruppo può essere meglio adatto del creatore a sviluppare e arricchire un’idea; assegnando comunque di fatto la vera originalità al singolo, e al gruppo, semmai, una funzione di focalizzazione ampliativa dell’idea.

Da quanto detto, l’azienda che cerca di ricavare vantaggio dal lavoro creativo potrebbe servirsi tanto del lavoro condotto con gruppi quanto soprattutto di valorizzare e incentivare il lavoro creativo individuale. Posto quindi che il lavoro creativo di gruppo apporti dei vantaggi concreti resta ora da chiarire quali componenti, elementi e metodi lo caratterizzano.


[1]Piepoli N., Dizionario Creativo (A-L), Istituto CIRM Market Research- Marketing Espansione – A. Mondadori Ed., Milano, Suppl. al N. 33 di Marketing Espansione, p. 78.
[2]Piepoli N., Ibidem.
[3]Preparazione, Incubazione, Illuminazione, Verifica; Vedi cap. I di questa tesi al paragrafo: Fasi del processo creativo.
[4]Amadori A., Piepoli N., Come essere creativi, Sperling & Kupfer Editori, 1992, p. 57.
[5]Cavallin F., Creatività Insieme, 62 esercizi per la creatività di gruppo., CittàStudiEdizioni, Milano, 09/1995, p. 127.
[6]Ibidem.
[7]Ibidem, p. 128
[8]De Bono E., trad. it., Essere Creativi, come far nascere nuove idee con le tecniche del pensiero laterale., Il Sole 24ORE Libri, Milano, 1996, pp. 49-50.

 

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