Sperimentare la possibilità

A cura di Daniele Brambilla

La ritualizzazione (che può prodursi dal processo di verifica di una strategia che si è rivelata vincente ai fini del pensiero creativo) può rappresentare una notevole economia in termini di fatica quando il processo creativo è innescato. La tecnologia metacognitiva al contrario non rientra nelle abitudini di pensiero consuete, ma rappresenta una strategia di pensiero più attenta, raffinata e faticosa, che ci permette di cogliere e apprendere le modalità attraverso cui si svolgono i nostri processi di pensiero e si formano le nostre ritualità. Proprio la non immediata economicità della strategia di pensiero metacognitiva ne può determinare il deterioramento verso modalità di pensiero che possono essere più semplici se non addirittura sterilmente o magicamente abbarbicate al poco sperimentato.
Fornire uno strumento metacognitivo non significa offrire una tecnologia sovversiva di ogni utile ritualità di avvicinamento alla creatività, ma rappresenta la possibilità di discernere e anche di creare delle alternative che possono rivelarsi individualmente ancora più economiche ai fini della realizzazione di scopi determinati. Questo è il motivo che ci induce a considerare la metacognizione come una tecnica creativo-formativa.
Ma come si può praticare la formazione nelle palestre creative? Una possibile risposta, o meglio una provocazione, ci può derivare dai contenuti che Munari[1] propone per i “laboratori d’epistemologia operativa”. La loro attività si svolge attraverso un lavoro che si propone “d’interrogare l’azione” al fine di far emergere i processi effettivi di elaborazione della conoscenza, e attraverso una modalità di esplorazione attiva, che è “finalizzata innanzitutto alla presa di coscienza da parte del soggetto operante dei propri processi cognitivi e conseguentemente a una riflessione, più generale, sulle modalità di elaborazione e di uso della conoscenza e della cultura”[2].

Affinché il processo di riflessione venga attivato, tale attività:
1) Deve implicare le operazioni cruciali ricercate.
2) Deve presentarsi ad una manipolazione effettiva e concreta.
3) Non deve avere un’unica soluzione.
4) Deve provocare un déplacement cognitivo.
5) Deve situarsi sufficientemente lontano dalle competenze presenti.
6) Deve comportare diversi livelli d’interpretazione.
7) Deve possedere valenze metaforiche
8) Deve coinvolgere il rapporto con il sapere

Per quanto riguarda il primo punto, Munari specifica che si tratta di “individuare i concetti chiave attorno ai quali si situa il reticolo da esplorare”. Nel nostro caso, si potrebbero individuare le operazioni fondamentali che sottendono determinati gruppi di tecniche creative, come ad esempio l’associazione e la ristrutturazione. Nel secondo punto si ravvisa l’utilità di agire su di una situazione concreta[3], che si può tradurre, -nel caso che ci compete- in una sperimentazione di diverse tecniche creative; il vantaggio da qui in poi si palesa: si tratta di effettuare una sperimentazione che utilizzi alcuni principi delle tecniche creative (attraverso quindi un percorso concreto-creativo) per spiazzare da abitudini di pensiero acquisite (punto quattro), portando quindi alla scoperta o all’appropriazione di altre modalità di pensiero metacognitive e creative. Sono tutti strumenti della creatività: sperimentare soluzioni molteplici (punto tre); lo svolgere attività concrete che implichino un certo grado di allontanamento dalle competenze abituali; il mettere in pratica esercizi che coinvolgano diversi livelli di interpretazione; infine l’utilizzo di tecniche metaforiche (punti dal cinque al sette). Nel nostro caso tali strumenti possono essere impiegati in un percorso circolare: si va dalla sperimentazione di attività e tecniche creative per arrivare a sviluppare e rafforzare le capacità metacognitive, quindi dall’esercizio di queste si procede verso l’elaborazione o la scelta di altre forme di pensiero e tecniche creative meglio utilizzabili al fine di realizzare i nostri scopi. Un aspetto che Munari sottolinea come importante, è che il “promuovere la presa di coscienza e riflessione sui propri processi cognitivi vuol dire anche necessariamente esaminare la natura del rapporto che si ha con la conoscenza”[4]. Dunque il “rapporto con il sapere” (punto otto) riguarda la relazione che intratteniamo con le nostre teorie ed è uno “stato d’animo a cui nessuno può sfuggire, che nessuno può sostenere di non avere”[5] e che influenza, ad esempio, i “comportamenti effettivi, i diversi aspetti del lavoro concreto che si svolge nei luoghi dove si ‘fa’ scienza”[6]. Tale esame sui sentimenti che ci vincolano a determinate teorie e procedure, può favorire la creatività: ad esempio dei ricercatori, posti in un’ottica di attenzione alla complessità della realtà e ai limiti strutturali entro cui può chiudere una teoria, potrebbero sviluppare delle capacità di flessibilità, mobilità, libertà ed euristica cognitiva che poi, quando queste sono ricondotte al rigore dei criteri di condivisibilità generale, possono favorire l’avanzamento delle loro discipline[7].


[1]In Munari A., Interrogare l’azione. Per una metodologia della ricerca sull’azione., in Il Quadrante scolastico, N. 58, Trento Unoedizioni, Trento, settembre 1993, pp. 56-71.[2]Ibidem., pp. 61-62.
[3]”..bisogna poter agire direttamente su di essa, per verificare concretamente le diverse conseguenze delle diverse azioni possibili.”, Ibidem, p. 62.
[4]Ibidem, p. 66.
[5]Munari A., Il sapere ritrovato, Guerini, Milano, 1993, p. 107.
[6]Ibidem.
[7]Federico Neresini mette in luce come nella ricerca scientifica sussista un rapporto dialettico tra innovazione e tradizione “all’interno del quale i criteri di plausibilità, dell’accuratezza e della sistematicità tendono da un lato a rinforzare il conformismo, mentre dall’altro il valore attribuito all’originalità incoraggia il dissenso. Tuttavia questa tensione interna è essenziale nel guidare e motivare il lavoro scientifico”., Neresini F., La creatività degli scienziati, in Melucci A., op. cit., 1994, p. 57.

 

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