Metacognizione e consapevolezza

A cura di Daniele Brambilla

Al centro di quanto si è sopra(2.2.) esposto vi è l’assunzione della tesi che “l’apprendimento si qualifichi in quanto evento completo laddove tanto la metacognizione di sé, quanto il controllo (e quindi con un ulteriore metacognizione) dei propri poteri cognitivi possono realizzarsi”[1]; dove per metacognizione si è inteso appunto l’attività di riflessione e riconoscimento dei propri processi cognitivi, “quella specifica attività che spiega e interpreta.
La metacognizione è fondata sull’interrogarsi rispetto al processo apprenditivo che si è compiuto pensando, decidendo, agendo”; è ciò che per l’appunto riteniamo differenziare la palestra creativa dal laboratorio creativo nel quale diversamente “Il processo cognitivo sarà invece soltanto cognitivo quando l’adulto mostrerà di servirsi dell’intelligenza senza per questo saperla o doverla spiegare o raccontare e verrà spiegato da altri”[2].
Per definizione, in una palestra cognitiva l’apprendimento si stabilizza grazie a delle strategie metacognitive; ma tali strategie devono in qualche modo intervenire anche quando si verifica un processo di autoformazione affinché ci sia apprendimento. Se la creatività si sviluppa e si accresce anche al di fuori delle palestre creative, si può allora sostenere che ciò avviene attraverso diversi momenti osservativi e auto-osservativi. Tali momenti possono essere cercati in modo consapevole e mirato, ma è ipotizzabile che essi possano anche verificarsi attraverso degli eventi di riflessione ed auto-osservazione più superficiali e casuali. Eventi che determinano, almeno per quanto riguarda l’apprendimento di processi creativi, le condizioni per supporre la possibile esistenza di diversi livelli di metacognizione.
Il possibile sostegno per tale ipotesi si può elaborare partendo dalla congiunzione di due distinte osservazioni: la prima è che la creatività spesso si produce e si accresce in persone che non seguono alcun corso formativo; la seconda è che spesso nelle diverse categorie di creativi (artisti, scienziati, creativi pubblicitari, ecc.) si attuano delle forme propiziatorie, dei rituali[3] che servono allo scopo di favorire l’innesco dell’elaborazione creativa[4]. La domanda che ne scaturisce può essere formulata in questo modo: è possibile che tali forme ritualizzate derivino da momenti di autoriflessione e osservazione accidentale, ma non approfondita, dei processi di elaborazione creativa? In questo senso la risposta si può ritrovare già nella strutturazione che Wallas (vedi cap. precedente) aveva immaginato per inquadrare il processo creativo; infatti la cosiddetta fase di preparazione coincide o assomiglia abbastanza, nelle sue modalità caratteristiche, alle forme presenti nei rituali di concentrazione[5] che spesso adottano i creativi. Ciò ci induce a pensare che forse proprio la presenza di tali rituali sia la manifestazione, nei creativi, della avvenuta presa di coscienza che determinate forme comportamentali o cognitive possono e sono in grado di favorire il processo creativo. D’altra parte si può parlare di livelli di metacognizione proprio in funzione della qualità della consapevolezza che si raggiunge rispetto ai propri processi cognitivi: in questo senso, ad esempio, un irrigidimento quasi magico rispetto ad efficaci forme rituali limita ulteriori operazioni metacognitive e di cambiamento, che potrebbero portare ad ulteriori momenti autoformativi e di viva e continua crescita creativa.


[1]Demetrio D., Diventare adulti nelle organizzazioni, in Demetrio D. (a cura di), Apprendere nelle organizzazioni, La Nuova Italia Scientifica, Roma, 1994, p. 36.
[2]Ibidem, p. 36.
[3]Piccolo, a questo riguardo, descrive i molteplici rituali degli scrittori e afferma che “la ritualità è una forma di conservazione del processo personale di creazione, e protetti da essa si può lavorare con sertenità – un’altra forma di sicurezza, che permette allo scrittore di procedere sempre nello stesso modo, con una formula che evidentemente ha avuto successo nel passato […], tanto da formulare un ambiente magico nel quale poi mettere in moto la propria energia creativa”. Piccolo F., Scrivere è un tic, minimum fax, Roma, 1994, p. 39
[4]Si veda Melucci A., miti, discorsi, processi, Feltrinelli, 1994.
[5]Joseph Sassoon parla dei diversi rituali di concentrazione nelle diverse categorie di creativi:
– Per quanto riguarda gli scienziati si verificano nella “collocazione paziente e laboriosa dei dati di conoscenza, delle teorie e delle strumentazioni tecniche, nell’ambito di percorsi di ricerca che possono durare anni e rispetto ai quali un’accelerazione improvvisa della tensione cognitiva, non di rado dovuta a fattori casuali, può condurre all’illuminazione creativa.”- Gli artisti vivono “rituali spesso più tormentati: lunghi o brevi, piacevoli o decisamente penosi, essi comportano molteplici digressioni su azioni banali o pretestuose, aventi il solo scopo di portare alla condizione emotiva <<giusta>> per accingersi a creare”; ad esempio ricercano condizioni di solitudine e silenzio.- I pubblicitari “predispongono la loro creatività quotidiana concedendosi solo piccoli espedienti dilatori..”; ad esempio esponendosi al “<<bombardamento di stimoli>> che proviene dalla cultura di massa”.- Nel mondo delle organizzazioni, “i rituali più ricorrenti sembrano quelli volti a dotarsi delle <<molle>> professionali e psicologiche necessarie a far prevalere momenti di creatività nei varchi aperti dal loro difficile contesto di riferimento”. Sassoon J., Metafore della creatività: linguaggi, rituali, artefatti, in Melucci A., op. cit., 1994, pp. 163-164.

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