Problem solving e creatività

a cura di Umberto Santucci

Dove si colloca la creatività nel processo di problem solving, che va dal setting del problema, alle soluzioni, alle decisioni, alla messa in pratica dei cambiamenti?

Anche quando non ce ne accorgiamo ci troviamo a risolvere problemi, a porceli, ad evitarli, a temerli. Molte azioni automatiche, dal guidare l’automobile al farsi la barba o truccarsi, consistono in processi di soluzione di problemi che abbiamo ripetuto tante volte da non sapere più che cosa stiamo facendo e come lo facciamo. Se però volessimo programmare un robot a fare la stessa cosa, ci accorgeremmo che si tratta di processi maledettamente complicati.

Altre volte invece siamo ben consci di avere davanti un problema particolare da risolvere, tanto da ricorrere a guide, procedure, consigli di esperti. E’ il caso della preparazione di un piatto o di una cena, per cui consultiamo ricette, facciamo la lista della spesa, pianifichiamo che cosa va preparato prima o dopo, che cosa va servito caldo o freddo.

Altre volte infine viviamo alla giornata, sbrigando alla meglio ciò che ci si presenta davanti o che ci viene ordinato. Anche in questi casi ricorriamo a comportamenti abitudinari, o troviamo soluzioni al momento, come ci viene.

In tutti i casi il processo di soluzione di problemi ha una struttura ricorrente, che possiamo schematizzare in questi cinque passi:

1 – problem posing, o problem finding: porsi un problema nuovo, scoprire un problema nascosto;
2 – problem setting: definire la difficoltà o il bisogno come problema, come qualcosa che possiamo risolvere;
3 – problem solving: attivare un meccanismo di cambiamento tale da portare ad una o più soluzioni;
4 – decision making: nel caso di più soluzioni, scegliere quelle più adatte, più importanti, più efficaci, meno costose;
5 – decision taking: applicare le decisioni prese e metterle a sistema, farle diventare un nuovo comportamento abituale che realizza il cambiamento desiderato.

In questo processo dove si colloca la creatività?
Senza dubbio si concentra nelle prime fasi, ma si spalma anche un po’ in tutto il processo.

Problem posing e finding

Interpretare segnali deboli, vedere come problemi cose che ad altri sembrano normali, guardare più lontano o più avanti per scoprire nuove frontiere da varcare, nuove avventure da correre, vedere le cose vecchie con occhi nuovi, per riscoprirle, o le cose nuove in modi consueti, per non temerle, è un comportamento tipicamente creativo, o creativogenico, in quanto stimolatore di nuove idee, nuove soluzioni, atteggiamenti diversi.

Problem setting

Definire un bisogno o un disagio come problema concreto da risolvere potrebbe sembrare qualcosa di pratico, dove la creatività intesa come fantasia ha poco a che fare. Ma la creatività è anche concretezza, capacità di mettere in pratica le fantasie, trasformarle in oggetti, movimenti, azioni. Provare disagio per la mancanza di tempo è cosa ben diversa dall’inventarsi nuovi modi per risparmiare tempo. Il problem setting prende atto del disagio, ma lo concretizza, lo circoscrive, individua tutto ciò su cui possiamo intervenire, ci aiuta a porci le domande che ci guideranno alla ricerca della soluzione. Taylor per esempio si mise ad analizzare nei minimi particolari il modo di lavorare degli operai, e scoprì che molte cose potevano esser fatte in modo più razionale e più rapido, senza sprecare movimenti. Questo sembra l’arido atteggiamento di un entomologo, ma in realtà fu qualcosa di talmente creativo da generare addirittura la civiltà industriale.

Il problem setting usa strumenti specifici della qualità e della stimolazione del pensiero, come la matrice SWOT, i “Sei Cappelli per Pensare” di De Bono, il brainstorming di Osborn, ecc.

Per avere un’idea di quanto il setting del problema possa essere un atto creativo, basta ricordare l’acronimo SMART per la definizione di un obiettivo (il problema viene comunemente inteso come un ostacolo da rimuovere, l’obiettivo come una meta da raggiungere, ma in sostanza si tratta della stessa cosa: cambiare da uno stato attuale ad uno stato desiderato e considerato migliore di quello attuale). Il consulente guida il cliente a definire il suo obiettivo in modo sfidante, stimolante (S), misurabile: quanto di più, quanto di meno, (M), accordato, condiviso fra le parti, attraente (A), raggiungibile, alla sua portata (R), tempificato, fra quanto tempo dovrà essere raggiunto (T). Sembra che questo esercizio tarpi le ali ad un sogno, trasformandolo in un programmino terra terra. In realtà trasforma qualcosa di nebuloso, di astratto, di generico (migliorare, essere più felici, vendere di più) in qualcosa di concreto, di reale, di raggiungibile come la cima di una bella montagna. E trasformare un’idea vaga in una cosa concreta è la quintessenza della creatività, è ciò che fanno gli artisti, gli imprenditori, gli esploratori, gli innovatori, i cui sogni diventano quadri o sculture, prodotti nuovi, conquiste di nuovi territori, scoperte di nuove tecnologie.

Problem solving

Risolvere un problema significa scoprire le leve di cambiamento e metterle in moto. Per farlo bisogna cambiare i consueti punti di vista. Un modo per riuscirci è immaginare come si potrebbe volontariamente peggiorare la situazione. Questo è un potente stimolo creativo, perché tutti noi siamo stati educati fin da bambini a migliorare le cose, non a peggiorarle, quindi se ci si chiede di peggiorare, ci troviamo a disagio. Ma proprio questo cambiamento di prospettiva ci porta a scoprire le forze che agiscono su noi stessi, sugli altri, sul sistema in cui ci troviamo. Una volta trovato il modo di peggiorare, rovesciare il comportamento per migliorare diventa un gioco da ragazzi (spesso capita di scoprire che per peggiorare basta continuare a fare le cose nello stesso modo).

Un altro espediente per stimolare l’immaginazione, dopo la fantasia peggiorativa, è quello del miracolo o della palla di vetro. Immaginiamo che un potente mago sia arrivato ieri notte e abbia risolto al meglio il problema. Oggi entriamo in ufficio o dove siamo abituati ad agire, e osserviamo noi stessi, il nostro ufficio, le persone intorno: da che cosa in concreto ci accorgeremmo che il problema è risolto? Il mago può fare tutto, quindi serve a stimolare l’inventiva senza freni, senza impedimenti gerarchici, temporali, economici. Lo stesso accade con la palla di vetro. Guardiamo dentro una immaginaria palla di vetro: come ci vediamo fra un anno, fra due anni? dove ci troviamo? Che cosa stiamo facendo? Come? Con chi? Lo sforzo di immaginare situazioni in concreto, nei minimi particolari, è anch’esso molto creativo, e spinge verso la soluzione del problema.

Decision making

Se abbiamo applicato bene gli stimoli creativi durante la soluzione del problema, saremo riusciti a trovare più di una soluzione. Avere alternative è la base di un comportamento libero, è l’imperativo etico di Von Foerster, il famoso cibernetico: “Fa in modo da avere sempre più di una alternativa”. Se ne hai una sola, sei uno schiavo, dice Richard Bandler. Se ne hai due, sei un interruttore, a cui è concesso dire solo sì/no, on/off, acceso/spento, bianco/nero. Se ne hai almeno tre, sei una persona libera di comportarsi in un modo, continuare così se funziona, cambiare se non funziona.

Tuttavia quando ci troviamo di fronte ad un bivio o ad un incrocio dobbiamo scegliere quale via imboccare, e dobbiamo farlo presto. Anche in questo caso potremmo esaminare tutti i dati, valutarli con strumenti come il diagramma di Pareto e simili, scegliere razionalmente l’alternativa più vantaggiosa. Ma disporre di tutti i dati è praticamente impossibile, e non c’è mai il tempo di esaminarli e interpretarli in modo corretto. Per cui il più delle volte per decidere ci si affida all’intuito, al sesto senso, alle emozioni. Al proposito Daniel Goleman osserva che persone menomate e incapaci di provare emozioni sono anche incapaci di decidere che cosa fare di fronte ad alternative. Ecco dunque che rispunta il guizzo creativo, che ci fa scegliere in modo spesso misterioso la cosa giusta al momento giusto, o almeno ci dà la convinzione di averlo fatto, e quindi il coraggio di andare avanti.

Decision taking

Questa è la parte meno creativa del processo di problem solving, ma è la più concreta, perché dopo aver trovato le soluzioni e dopo aver scelto quelle più efficaci, bisogna metterle in pratica, a piccoli passi, da domani, continuando giorno dopo giorno, altrimenti si torna subito allo stato di partenza, e il problema rischia di aggravarsi. E’ quanto succede a chi vuol dimagrire. Se da domani non si mette a mangiare in modo diverso, e non continua ogni giorno, rischia di ingrassare più di prima.

L’emergere di situazioni drammatiche, dai rifiuti campani agli incidenti sul lavoro, è il sintomo vistoso di decisioni non prese e non applicate.



Fai luce sulla chiave
“Fai luce sulla chiave” è il titolo del mio libro pubblicato nel gennaio 2008 da Airone nella collana “Fare azienda” diretta da Stefano Masci con la collaborazione della Scuola di Ingegneria dell’impresa dell’università degli Studi di Roma “Tor Vergata”. Il libro riprende, aggiorna e amplia l’ipertesto www.problemsetting.it, che vive in rete dal 2000 con buona frequentazione di visitatori, e tratta in modo agile e pratico l’arte di definire i problemi prima di risolverli.

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