Il peso degli intangibili

a cura di Barbara Principi
Il titolo è certamente paradossale: come possono elementi inafferrabili avere un peso? Eppure nelle organizzazioni agiscono fattori del tutto invisibili che possono avere un’influenza formidabile sui risultati e quindi avere di fatto un “peso”, che si traduce anche in fattori tangibili, come i risultati economici, la capacità di produzione, gli investimenti.
L’interesse intorno a questi temi va crescendo, come si evidenzia nel proliferare di articoli in riviste manageriali, negli studi d’impresa.
Prenderò qui in esame un fattore specifico, il capitale umano.

 

Quali intangibili
Le persone costituiscono il capitale umano dell’organizzazione nella misura in cui utilizzano in modo efficiente ed efficace la propria intelligenza.
L’organizzazione nasce con una sua missione e per realizzarla si dota di strutture più o meno formalizzate, strumenti, procedure, organigrammi, che si animano con i comportamenti delle persone: per capitale umano non intendo qui la somma degli individui, dato dal numero dei dipendenti e dal monte orario del lavoro, ma un sistema organico che si caratterizza per i modi con cui questi individui si connettono tra loro e con l’ambiente circostante. La quantità non determina necessariamente la qualità.
Una parte del patrimonio umano è costituito dall’expertise, ovvero dalla competenza tecnica e dall’esperienza. I comportamenti attraverso cui anche l’expertise viene effettivamente messa a frutto sono direttamente collegati a diversi tipi di intelligenza, di cui brevemente farò una rassegna con alcuni esempi di applicazione.
La competenza tecnica è infatti un patrimonio legato ai contenuti specialistici, le intelligenze sono invece il modo (processi) in cui organizziamo ed esprimiamo questi contenuti.

 

1. L’intelligenza cognitiva
Questo tipo di intelligenza era considerata fino a qualche anno fa l’Intelligenza per definizione, l’unica quindi su cui investire: ha a che fare con le nostre capacità di analisi e sintesi, con le abilità logico-matematiche, con la capacità di individuare una sequenza in una serie o di definire un metodo ed una struttura. Nelle imprese tayloristiche, basate sulla misurazione di tempi e metodi, si sottoponevano i dipendenti a test per la misurazione del Quoziente Intellettivo (Q.I.), pensando che selezionando i più brillanti si sarebbe garantita la produzione.
Nelle organizzazioni si esprime nella risoluzione dei problemi, nella organizzazione e strutturazione delle attività, nella pianificazione e gestione del tempo.
La mia esperienza di lavoro con diverse realtà organizzative mi ha fatto spesso incontrare con gruppi ed individui con lacune nel patrimonio legato all’intelligenza cognitiva: difficoltà nel procedere in modo pianificato ed ordinato nelle attività.
Se confrontato con quanto accade in altri paesi dell’occidente industrializzato, in Italia c’è una maggior tendenza a lavorare in emergenza, con scarsa pianificazione, qualche volta in affanno, con una scarsa propensione a prendere in esame le ricadute sul sistema e nel medio e lungo periodo.
Tanto più le risorse finanziarie scarseggiano in termini di quantità, tanto più il loro utilizzo efficiente ed efficace consente di avere un differenziale competitivo (il bisogno aguzza l’ingegno!).
In quest’ambito, mi capita frequentemente di lavorare per aiutare le persone a mettere in campo le proprie competenze relative al riconoscere, analizzare e gestire problemi, pianificare le proprie attività, organizzare sé stessi e gli altri, darsi metodo e struttura, porsi obiettivi ben definiti e piani d’azione conseguenti.
Con lo sviluppo di queste competenze, il modo di lavorare diventa più ordinato, le forze sono ben distribuite, il tempo impiegato bene e con soddisfazione.

 

2. L’intelligenza emotiva
Recentemente la convinzione che l’intelligenza cognitiva fosse garanzia di risultati professionali eccellenti è stata messa in discussione: David Goleman ha dato la sua definizione di intelligenza emotiva, raccogliendo i risultati di centinaia di interviste a manager sui collaboratori migliori ed elencando le capacità decisive nell’ottenere apprezzamento e successo.
Tali capacità possono essere distinte in due grandi aree:
• Competenze personali, ovvero capacità di riconoscere le proprie spinte emozionali, di disinnescare risposte automatiche inefficaci, di controllare i priopri comportamenti, di automotivarsi e reagire alle frustrazioni
• Competenze sociali, ovvero il modo con cui ci mettiamo in relazione con gli altri, la capacità di ascoltare e riconoscere gli stati d’animo degli altri, la capacità di comunicare, influenzare, cooperare e negoziare.
E’ interessante notare la relazione tra intelligenza emotiva e cognitiva: la prima sembra essere l’elemento che facilita anche l’espressione della seconda.
Sarà capitato anche a voi di incontrare persone molto brillanti intellettualmente ma con serie difficoltà a riuscire nel lavoro, nell’integrarsi con gli altri, nell’ottenere collaborazione.
Vediamo ora un’applicazione pratica.
Un caso di integrazione tra intelligenza cognitiva ed intelligenza emotiva
Prendiamo l’azienda, che per motivi di riservatezza chiamerò Alfa, in cui le persone sono state scelte con cura, c’è un livello elevato di istruzione, l’età media è piuttosto bassa e potenzialmente ci sarebbero le condizioni per avere risultati brillanti, eppure….
Gli indicatori di produzione sono insoddisfacenti, non si rispettano le scadenze, si presenta ogni sorta di imprevisti. Le riunioni sono lunghe ed inconcludenti.
C’è un proliferare di comunicazioni e-mail con toni aggressivi ed inviate per conoscenza a tutti, amministratore delegato compreso.
La tensione è percepibile, si potrebbe dire che l’atmosfera si taglia con il coltello. Di fronte agli insuccessi, si scatenano gli istinti aggressivi tra colleghi.
Si tratta di un caso in cui gli strumentisti non sono ancora un’orchestra.
Le persone avevano bisogno di imparare a giocare in squadra, utilizzando metodi e strumenti comuni, comunicando efficacemente, negoziando, condividendo obiettivi ed informazioni, sostenendo ed incoraggiando i propri collaboratori.
Questo è stato fatto con un intervento che prevedeva incontri di training di due giornate sui diversi temi (risolvere problemi in squadra, comunicare efficacemente, gestire i propri collaboratori,) che ha coinvolto progressivamente diversi strati dell’organizzazione, dal gruppo di regia alle squadre di produzione.
Già dai primi interventi, gli effetti sono stati visibili: la produzione è andata migliorando, e di conseguenza gli introiti e i flussi di cassa si modificavano.
Il peso dell’intangibile si è concretizzato in maniera inaspettata per gli stessi promotori dell’inziativa.

 

3. L’intelligenza connettiva
L’avvento e lo sviluppo delle nuove tecnologie nel campo dell’informazione e della telecomunicazione stanno probabilmente generando nuove forme di intelligenza: il termine intelligenza connettiva è stato coniato da De Kerckhove, direttore del Progetto McLuhan dell’Università di Toronto, nel quale si studiano proprio tali impatti.
L’intelligenza connettiva è in sintesi la capacità di connettersi alle reti quando e come necessità, senza esserne sopraffatti, muovendosi con cognizione.
Una delle abilità fondamentali consiste nell’individuare ed accedere ai depositi di competenza che si creano spontaneamente nella rete. Il sistema si ingrandisce e si va facendo sempre più complesso, la dimensione spaziale viene annullata.
La rete moltiplica le occasioni, ma anche la dispersione, sapersi orientare nel labirinto è indispensabile. Come sviluppare queste capacità sarà materia dei prossimi anni.
A chi spetta lo sviluppo del patrimonio umano?
Gli studi neurologici più recenti dimostrano che il cervello è neuroplastico, cioè che ha la capacità di sviluppare o di fare regredire aree specializzate sulla base dell’utilizzo effettivo che se ne fa. Se ad esempio dovessimo bendare gli occhi ad un gruppo di persone e farle agire in condizione di cecità per un certo periodo, potremmo notare che le aree cerebrali corrispondenti alle percezioni tattile ed olfattive aumenterebbero per attività e massa, salvo tornare alla dimensione originaria una volta terminato l’esperimento.
Come ho potuto constatare personalmente più volte, se l’organizzazione richiede alle persone di esercitare le proprie capacità, queste si sviluppano ed altrettanto velocemente regrediscono nel caso in cui tale richiesta venga meno.
Quindi le organizzazioni possono accrescere costantemente il proprio patrimonio occupandosi dello sviluppo delle competenze ed abilità delle persone: questo compito spetta ad amministratori e manager, innanzi tutto, ma anche ad ogni singolo individuo.
Come nello sport, si tratta di praticare un allenamento costante, che non si può imporre, ma stimolare.
Questo mette in discussione lo stile di gestione dei capi, la motivazione degli individui, le scelte individuali e collettive.
In alcune organizzazioni si instaura un circuito vizioso, per cui ai risultati insoddisfacenti segue la sfiducia, questa porta alla convinzione di incapacità e alla rinuncia di esercitare le proprie abilità, le abilità regrediscono effettivamente e gli insuccessi aumentano.
Gli amministratori ed i manager sono coinvolti nel circuito e non riescono a trovare il modo di uscirne. Tutti aspirano ad un cambiamento, ma non sanno come operare.
In queste circostanze può essere utile chiedere aiuto a qualcuno che, dall’esterno dell’organizzazione, ci aiuti a far ripartire il circolo virtuoso di successo e crescita del patrimonio umano.
Ostacoli ad un concreto intervento
Anche se il tema è all’ordine del giorno, in Italia gli investimenti su questo fronte sono ancora marginali, come dimostrano i dati sulla ricerca, sulla formazione, la debole presenza di metodi per lo sviluppo continuo delle competenze.
A mio avviso i fattori di ostacolo per una effettiva pratica di investimento su questi temi possono essere:
• la difficoltà che amministratori, imprenditori e manager hanno nel capire l’impatto concreto che alcuni comportamenti possono avere sui risultati e – talora – sulla stessa sopravvivenza dell’organizzazione
• la convinzione diffusa che è necessario investire molte risorse per ottenere risultati di rilievo
• nel realizzare un progetto di sviluppo del capitale umano, l’attitudine a chiedersi “quanto mi costa farlo” e non piuttosto “quanto mi costa non farlo”.
Ma su questo argomento tornerò la prossima volta.
Barbara Principi – MindLab
http://www.mindlab-network.it/

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