Teorie psicologiche generali – introduzione

A cura di Daniele Brambilla

Attualmente la ricchezza delle ricerche psicologiche sulla creatività può essere considerata il risultato positivo di un interesse nato, a partire dagli anni cinquanta, soprattutto negli Stati Uniti; è del 1950 il famoso discorso che Guilford fece come presidente uscente dell’American Psychological Association nel quale “analizzò le ragioni per cui lo studio della creatività era stato trascurato, e sostenne la necessità di rivolgersi allo studio delle qualità superiori del pensiero, anche se questo pone difficili problemi di valutazione, di misura, di metodo, sottolineando l’importanza sociale del pensiero creativo e del riconoscimento delle personalità ricche di potenziale creativo”[1].

Da Guilford in poi le ricerche sulla creatività si sono moltiplicate. Già nel 1973, ad esempio Alain Beaudot[2] classifica le ricerche americane secondo tre diverse piste:
– La prima è individuata nella ricerca di tipo psicometrico, orientata nel valutare la creatività con “strumenti di misura obiettivi”, l’ideazione di una serie di batterie di test permette la misurazione dei tratti differenti dell’individuo creativo: a dominio di questa corrente è citato Guilford[3].
– Una seconda via identifica ricerche maggiormente orientate alla determinazione dei tratti caratteristici delle personalità socialmente riconosciute come creative, “l’accento posto sulla personalità dà alla creatività una dimensione più ampia che nell’approccio puramente psicometrico”[4], viene qui meglio riconosciuto il fatto che la presenza di tratti caratteristici non implica che il soggetto sarà in futuro un creatore; questa corrente è rappresentata da studiosi come Mackinnon e F. Barron[5].
– Un’ultima direzione viene indicata in ricerche che affrontano la creatività dal punto di vista del suo sviluppo e della pedagogia, tali ricerche si occupano in modo prevalente dell’accrescimento della creatività nei bambini e negli adolescenti; di questo indirizzo di studi, vengono citati ricercatori come Parnes e Torrance[6].

Oggi gli ambiti di studio si sono ampliati con nuovi approcci di ricerca che utilizzano anche metodologie di tipo qualitativo oltre che quantitativo; anche di tali ricerche si illustrerà in seguito.

Per meglio comprendere l’aspetto che caratterizza gli studi psicologici sulla creatività, rispetto a studi di impronta psicoanalitica, è utile citare un’osservazione di Amadori e Piepoli: essi rilevano come la psicologia si sia distinta nell’elaborare delle teorie “che hanno avuto il merito di scindere, scomporre il processo creativo in una serie di fasi gerarchicamente organizzate a formare un autentico percorso psicologico che conduce progressivamente l’individuo alla messa a punto di un’espressione creativa”[7].


[1]Pagnin A., Vergine S., Il pensiero creativo, La Nuova Italia Editrice, Firenze, 1974, p. 22.
[2]Beaudot A. 1973, tr. it. La creatività, Loescher, 1977.
[3]Ibidem, p. 14.
[4]Ibidem.
[5]Ibidem.
[6]Ibidem, p. 15.
[7]Amadori A., Piepoli N., Come essere creativi, Sperling & Kupfer Editori, 1992, p. 7.

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